Andiamo a scuola, prima. Studiamo storia dell'arte. Poi cresciamo e andiamo a qualche mostra.
Basquiat, Warhol, Haring: nomi che ci facciamo girare in bocca, spesso per darci un tono. Qualcuno ora tenta persino di pronunciare "Banksy".
Suonano bene perché suonano stranieri; soddisfano la nostra sete di rivoluzione perché per noi la rivoluzione può accadere solo altrove. O ha la faccia araba, o va detta in un'altra lingua.
Nel nostro appartamento arredato moderno abbiamo una stampa della minestra in scatola Campbell. Poco più in là Marylin e Mao. Nell'armadio, poi, una t-shirt con degli omini sagomati, ognuno di un colore diverso. La mettiamo quando siamo di buonumore, raggianti.
Fuori in strada cambiamo. Leggiamo il giornale e molti di noi godono quando chi vernicia sul proibito è processato.
Vogliamo sia un libro a dirci cosa è arte. Accadrà in futuro. Il presente, invece, ci scorre davanti agli occhi senza essere percepito.
Quei graffittari bastardi intanto sono là fuori. Nonostante tutto. E qualcuno sporca e basta, già, ma altri hanno uno sporco da 24 carati.
Rae Martini a Milano
Parigi, 2013
Nessun commento:
Posta un commento